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Allacciate le cinture – Conferenza stampa del film di Ferzan Ozptek

27/02/2014 | News |
Allacciate le cinture – Conferenza stampa del film di Ferzan Ozptek

Anteprima romana questa mattina per Allacciate le cinture, il nuovo atteso film di Ferzan Ozpetek. Ancora una volta il tema del film sono gli amori messi alla prova dallo scorrere del tempo. Quello di Elena (Kasia Smutniak) per Antonio (Francesco Arca) è la passione travolgente e proibita che sogna di diventare amore. Ma Elena sta con Giorgio (Francesco Scianna) mentre Antonio è il nuovo ragazzo della sua migliore amica Silvia (Carolina Crescentini). Ma l’attrazione tra Elena e Antonio esplode ugualmente anche a scapito di sconvolgere le vite di amici e parenti. Passano 13 anni, Elena è sposata con Antonio e ha due figli e insieme al suo migliore amico Fabio ha realizzato il sogno di aprire un locale di successo. Ma il nuovo equilibrio subisce una scossa improvvisa e brutale mettendo alla prova i sentimenti di tutti.
Alla conferenza stampa seguita alla proiezione il regista Ferzan Ozpetek ha parlato di questo sua ultima opera accompagnato dal cast del film capitanato dalla bellissima Kasia Smutniak presente insieme agli interpreti maschili Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Francesco Scianna e alla squadra di straordinarie presenze femminili, Carolina Crescentini, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Paola Minaccioni, Luisa Raneri, Giulia Michelini.
Presenti anche i produttori Tilde Corsi e Gianni Romoli (anche sceneggiatore del film insieme a Ozpetek) e Paolo del Brocco per RaiCinema che ha co-prodotto il film.
Allacciate le cinture uscirà nelle sale giovedì 6 marzo in 350 copie distribuite da RaiCinema.

La prima domanda è per Ferzan Ozpetek. Come è nata l’idea al centro del film?
Ferzan Ozpetek: “Circa sei anni fa ho fatto una cena con tante persone, tra gli invitati c’era una mia amica che non era stata bene ed era fisicamente molto cambiata. Ad un certo punto mi è venuto  indelicatamente in mente di chiederle se con il marito dormivano ancora insieme e lei mi ha dato una risposta che mi ha fatto riflettere: “Pensa che ci prova ancora, agli uomini non fa schifo niente”. Subito dopo lei e il suo compagno si guardarono con affetto. A quel punto stavo per piangere perché ho sentito amore tra di loro e nell’aria. Quando ti innamori di un’altra persona può succedere qualche grosso cambiamento, ma se riesci a desiderare ancora quella persona, quello è amore puro.
Sul lancio del film ho pensato che ci sarebbero state un po’ di difficoltà visto che è un film in cui è presente la malattia, quando abbiamo parlato abbiamo pensato che la cosa più importate è che sia un film che emozioni. Non è un film sulla malattia, ma sull’amore. Devo ringraziare i miei attori e anche Tilde Corsi e Gianni Romoli, durante la lavorazione del film ci siamo fermati un  mese per creare negli attori il cambiamento che io volevo tra persone che all’inizio hanno 25 anni e poi 38. Non ci sono grandi cambiamenti tra queste età, noi abbiamo lavorato molto sui chili e i capelli. E al montaggio ho visto che il cambiamento c’era”.

Una domanda per Gianni Romoli. Lei e Ozpetek siete tornati a scrivere insieme dopo tanti anni. In che cosa vi siete trovati cambiati? Chi ha cambiato chi? O siete cambiati insieme?
Gianni Romoli: “Io e Ferzan avevamo fatto insieme cinque film e poi ci siamo separati, c’è stata un’interruzione del rapporto durata quattro anni ma non è stata un’interruzione del rapporto personale. Riguardo a quella suggestione venuta da quella amica, Ferzan mi aveva detto che voleva farne qualcosa diversi anni fa mentre girava Mine vaganti. Le nostre vite intanto andavano avanti. Io ho cominciato a scrivere un soggetto che ruotava su un gruppo di amici, Ferzan l’ha letto e ha detto che quello non era un film ma una direzione, quando poi ha finito di girare il suo film abbiamo sviluppato la sceneggiatura a partire dal quella mia bozza di 40 pagine. Più che un cambiamento questo mi sembra uno sviluppo, una summa sia artistica che emotiva di quello che avevamo fatto insieme in cinque film. Abbiamo lavorato alla sceneggiatura 6 mesi, l’abbiamo smontata e rimontata, non si doveva seguire un plot vero e proprio ma una serie di piccoli fatti. Quando poi abbiamo letto il film con gli attori, abbiamo fatto ulteriori modifiche nei dialoghi perché Ferzan vuole sempre che il personaggio si identifichi con l’attore. Siamo arrivati a girare con un copione molto blindato, di ferro, e questo è un vantaggio perché ti permette maggiore libertà. E così sia l’attore che il regista potevano prendersi delle libertà proprio perché la struttura era così forte. Alcune volte abbiamo riscritto anche la mattina stessa in cui giravamo le scene del film”.

Per Ozpetek. Come definiresti questo film e perché hai scelto questo titolo?
Ozpetek: “Il titolo fa riferimento al fatto che nell’arco della vita ci capita prima o poi per forza una “turbolenza”, un momento in cui si devono allacciare le cinture. Non è l’aereo, né la macchina, ma la vita. Ho giocato sul tempo, la vita, le amicizie, le malattie, raccontate attraverso una grande storia d’amore. Amore e amicizia sono i due grandi sentimenti forti, come anche la solidarietà tra le persone”.

Una domanda per Carla Signoris e Elena Sofia Ricci, come avete lavorato ai vostri ruoli?
Carla Signoris: “E’ un film sull’amore, tutti i personaggi si amano in questo film. Tutti noi abbiamo provato, o abbiamo paura di provare, i sentimenti che ci sono in questo film, tutti siamo passati attraverso queste cose, questo è un film sulla vita. Piangere e ridere è la stessa cosa, esprimi un sentimento. Credo che ciascuno in questo film possa solo tirare fuori le proprie cose, possa immedesimarsi”.

Elena Sofia Ricci: “Io ringrazio Ferzan perché i suoi set sono bellissimi, lui ha questo dono di far esprimere gli attori , tiene in considerazione tutto quello che viene da tutti noi.
Per quanto riguarda il mio personaggio era molto difficile per me perché venivo dal personaggio della zia Luciana in Mine vaganti. Mi è preso un colpo quando Ferzan mi ha detto che dovevo interpretare una zia con disturbi della personalità, era difficile il paragone con il personaggio precedente. Da zia Luciana mi sono trasferita in questa altra zia che è diventata un tipo somigliante alla mia assistente personale e da lì è nata l’idea della parrucca grigia (l’attrice ha fatto alzare la sua assistente seduta in platea)”.

Un’altra domanda per Ozpetek. Nel film c’è un difficile equilibrio tra malattia e vita, che tipo di valutazioni avete fatto per le scene più crude della malattia? Avere avuto consulenze?
Ozpetek: “Abbiamo avuto una consulenza ma questa persona si è meravigliata molto della scena d’amore in ospedale. Ma sembra che queste cose accadano davvero negli ospedali. E’ stato difficile trovare quell’equilibrio. Io ho avuto la fortuna di avere questi attori e lavorarci non è stato difficile, è stata una goduria. Credo non sia difficile trovare una risata quando c’è un momento triste e di dolore e ha questa funzione il personaggio della parrucchiera interpretato da Luisa Ranieri. Bisogna anche vedere come le cose superflue in certi momenti diventino cose importanti a cui attaccarsi”.

La riflessione sul tempo è ricorrente in molti tuoi film e tutte le volte acquisisce e assume un significato differente. Questa volta che significato trasmette?
Ozpetek: “Mi capita spesso di vedere delle mie foto vecchie che mi fanno impressione. Io e Kasia, un turco e una polacca, ci siamo trovati subito per via dello spirito  tragico che la nostra cultura ci ha lasciato in eredità e infatti ci siamo innamorati perdutamente nella seconda parte, quella più drammatica. Lei si è affidata completamente a me solo nella seconda parte del film perché è proprio la felicità, il fatto di aver raggiunto certi obiettivi che ti rende timoroso e pauroso. Io per questo film avevo in testa lei fin dall’inizio. Ho anche scoperto attori come Francesco Scianna e Giulia Michelini come anche Luisa Ranieri. Devo molto agli attori”.

Francesco Arca è stata la più grande scommessa di questo film?
Ozpetek: “Io ho fatto dei provini a quattro attori due dei quali molto importanti. Il primo attore ho pensato che poteva essere adatto come anche il secondo, ma quando ho visto Francesco ho visto nei suoi occhi il personaggio di Antonio. C’è una sorta di istinto per cui si nasce attori”.

Prende la parola Francesco Arca: “Il  provino con Ferzan è stato una via crucis, è durato un mese, perché Ferzan cambiava idea verso di me e mi ha lasciato per un mese sui carboni ardenti. Ma poi ha scelto me. Non ho pensato a niente tranne che a lavorare, per me era un sogno, però sono stato un buon soldato durante tutto il film, mi sono fatto guidare totalmente dal regista quindi paradossalmente è stato facile perché quando lavori con registi di questo calibro non fai fatica”.

Una domanda per gli attori. Potete dire qualcosa del rapporto con i vostri personaggi? In che modo ve li siete sentiti addosso?
Kasia Smutniak: “Con Ferzan ci siamo incontrati due anni prima dell’inizio delle riprese quando non c’era ancora la sceneggiatura, la storia che mi ha raccontato la sentivo molto presente, il discorso sull’importanza del tempo e delle piccole cose che magari nella nostra vita ci danno fastidio e che, una volta perse, riesci a dargli importanza. Per me il film era quello. Tornando al titolo, al fatto che a un certo punto della vita c’è un momento importante che ti scuote, in questo film ci sono due momenti importanti per la protagonista: l’amore (l’incontro con Antonio) e guardare in faccia la morte. Sono due cose che ti riportano a te stesso, danno senso al tempo e sono quelli i momenti nei quali rientri in te stesso e riesci a vederti. Il tempismo, il momento in cui questa storia è arrivata nella mia vita era perfetto”.

Francesco Scianna: “Penso che questa volta è stato il personaggio a scegliermi perché all’inizio Ferzan mi ha detto che io ero una sostituzione. Poi sono arrivato sul set e lui ha avuto da ridire anche sui miei capelli. Per la prima volta mi è capitato di trovarmi sul set e di avere un atteggiamento creativo, di ascolto, che ha fatto si che alcune volte arrivassi a improvvisare. Quindi il personaggio parlava un po’ attraverso di noi e non era solo una costruzione mentale”.

Luisa Ranieri: “Il personaggio di Maricla per me è stato un incontro pazzesco, quando ho letto una mia scena ho detto di si a Ferzan di corsa, perché era una donna vitale. Poi abbiamo lavorato sulla mia fisicità e Ferzan ha valorizzato e enfatizzato il mio corpo, è stata la prima volta perché in genere i registi tendono ad abbassare la mia fisicità”.

Filippo Scicchitano: “Ringrazio Ferzan per l’opportunità che mi ha dato con questo ruolo molto difficile rispetto agli altri (è Fabio, l’amico omosessuale della protagonista). Soprattutto è stato difficile per la parte in cui invecchio di 13 anni”.    

Giulia Michelini: “Il mio personaggio doveva rimanere per forza un po’ freddo, non poteva avere un grande trasporto emotivo perché è il ruolo del medico che deve rimanere per forza distaccato”.

Carolina Crescentini: “Per quanto riguarda il mio personaggio non so se è stato lui a scegliermi, spero di no perché il regista sul mio personaggio non ha fatto altro che dire cose brutte. Sono stata felicissima di aver lavorato di nuovo con Ferzan dopo Mine vaganti, con lui si lavora mille volte meglio, ti fa prendere confidenza con la location e poi ci si diverte e quindi non hai mai il momento “cervellotico” dell’attore”.

Paola Minaccioni: “Sono stata portata anch’io all’eccesso, ringrazio Ferzan e Gianni che hanno scritto questo ruolo meraviglioso già dalla lettura (Egle, malata terminale ndr.). Sono felicissima di aver avuto la possibilità di interpretare questo ruolo in cui un’attrice non si deve preoccupare di tante cose, soprattutto del trucco. Egle, a differenza degli altri personaggi, probabilmente si è già accorta troppo tardi che doveva fare delle cose nella sua vita. Il mio è il quarto film insieme a Ferzan, un’esperienza meravigliosa”.

Ferzan Ozpetek prende la parola: “Io ringrazio Francesco Arca per essere ingrassato 13 chili. Devo dire che all’inizio lui veniva da me e mi diceva che gli veniva da rimettere ma poi gli ho messo un assistente che lo seguiva dappertutto per controllarlo e pesarlo e le cose sono andate meglio”.

L’ultima domanda per il regista riguarda la canzone “A mano a mano” nella versione cantata da Rino Gateano inserita nel finale del film. Come ti è venuta l’idea di questo brano?
Ozpetek: “La canzone Rino Gaetano l’ha cantata solo una volta in un concerto perché tra il pubblico aveva visto la sue ex che, tra l’altro, se ne andò mentre lui la cantava. Le parole sono forti ma lui la canta con una particolare leggerezza che mi sembrava perfetta”.

Elena Bartoni

 


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